Ci sono giorni speciali che ti verrebbe da fare qualcosa di speciale, assolutamente. Giorni dove ti scervelli a pensare a cosa inventarti di eccezionale per fare sì che siano unici, diversi, memorabili. A me questa cosa ha sempre messo una gran ansia. Oggi è uno di quei giorni, in cui però, all’ultimo minuto, ho avuto l’ispirazione.
Non fare proprio nulla di speciale. Perché tutto lo sia, tutto lo diventi.
Non sono andata lontano e mi sono mossa senza macchina a piedi da casa. Ho voluto ringraziare un luogo che mi ha teso la mano con le sue cince e i suoi rami spezzati, i suoi vapori e i suoi canneti, il suo placido inverno che ha sparso una silenziosa magia. Ho accolto il freddo sulla faccia come il più prezioso ed economico trattamento ringiovanente, protetta dai calzini di un’amica e dal berretto di un’altra, ché ci sono pensieri fatti a mano che scaldano più della lana di cui sono lavorati. Ho respirato freschezza con lo sterno spalancato al cielo. Mi sono solo guardata un po’ intorno e un aereo sulla testa è diventato pesce d’argento nell’acqua. E anche se dei merli resto alter ego senza ali, un martin pescatore ha espanso in bellezza il pantone dei blu. Ah, ho anche ululato con un lupo – e oggi fa pure luna nuova, così smentiamo qualche cliché. Ho avuto la vicinanza di tanti modi di voler bene sinceri, e quelli meno sinceri è bene lasciarli da parte o che rimangano lontani. Ho scambiato buongiorni con più d’uno sconosciuto e sorrisi e parole incerte con un paio ragazzi indiani, nuove avventure e auguri di buona fortuna moltiplicati.
E ho imparato la lezione della neve.
Che mi ha ricordato che quello che c’è può non essere niente di speciale. È speciale come lo vedi, lo copri, ti ci ghiacci intorno e ne fai bagliori. È speciale tutto ciò che è caduto, marcio, rotto e morto, ma anche ciò che resiste, quando è avvolto dalla gratitudine e da piccoli cristalli d’amore. Che alla fine è solo acqua sotto zero eh, mica niente di che, ma dio che luce che fa.